Artisti in Piazza: Show must go on!
Milano, 31 maggio 2020
Milano, 31 maggio 2020
Milano come non l’avevo mai vista. Sono andata a fotografare la mia città (non sono scappata eh, l’ho fatto con tanto di autocertificazione per comprovati motivi lavorativi e tesserino da giornalista) ed è stata un’esperienza straordinaria, piena di luci e di ombre. Camminando dai Navigli al Castello Sforzesco ecco cosa ho scoperto…
Marika ha 26 anni, una voce squillante. Scandisce le parole, una a una, perché sa che hanno un peso. È infermiera solo da un anno e lavora all’Ospedale Uboldo a Cernusco sul Naviglio. L’ho contattata perché mi ha commosso profondamente il suo post in cui ha pubblicato le foto delle tute realizzate da sua nonna Maria con i sacchetti della spazzatura cuciti a macchina per proteggere la nipote e i suoi colleghi da un nemico invisibile. “Le abbiamo usate davvero sopra le nostre divise. Un caldo pazzesco!”, mi dice con la voce sorridente. Poi le chiedo di raccontarmi della sua esperienza. Di questi giorni disperati.
“All’inizio mi trovavo in un’isola felice dell’ospedale. Lavoravo in un reparto privato di riabilitazione Parkinson e non mi occupavo di Covid-19. Ma è durato poco. Quando una nostra paziente si è ammalata tutto il personale è stato sottoposto al tampone (una cosa non frequente purtroppo nelle strutture sanitarie, ndr). E da lì è cambiato tutto. La cosa più difficile è dover comunicare ai parenti la diagnosi. È vissuta come una condanna. Perché sanno che non potranno più stare accanto alla persona che amano. E che magari morirà. E morire così, da soli, è terribile. Non ha dignità. Assistere a tutto ciò è struggente”.
La ascolto e mi sale il magone quando mi racconta di una telefonata di un paziente alla figlia e ai nipoti. Del dolore di un saluto che potrebbe essere un addio. Da lontano. “A volte ci viene da piangere, sembra di scoppiare. Ma dobbiamo buttare giù e sembrare forti. Io amo il mio lavoro. Visceralmente. L’ho scelto già anni fa, da ragazzina, quando ho assistito mio nonno nell’ultimo periodo della sua vita. Ho avuto la fortuna di tenergli la mano fino a quando ha esalato l’ultimo respiro. Oggi i nipoti non lo possono fare. Ci siamo solo noi accanto ai pazienti”.
Grazie Marika. E grazie anche a tua nonna Maria, che combatte con gli strumenti che ha. Per te e per tutti noi.
Lei si chiama Lorenzina. È la splendida proprietaria dell’agriturismo Il Poderone a Santa Sofia (FC), nel cuore del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi. Da oltre 50 anni “gira i tegami”, come dice lei. E cucina dei piatti straordinari, fatti di passione, storie del luogo e verdure coltivate nel grande orto che circonda il casolare.
Lorenzina ti fa sentire a casa. Ti siedi accanto a lei nel salotto all’ingresso dell’agriturismo e parli di tutto. Dei lupi che d’inverno arrivano vicino alla porta di casa. Della politica. Della bellezza di scoprire il mondo. Di sua mamma che le diceva: “Nella vita devi essere presente. Non devi seguire l’onda. Falla l’onda!”.
Al Poderone ci sono anche il nipote Nicola, che ha reso l’orto un posto unico, dove crescono varietà di sementi antiche, e Fabrizio, suo padre e fratello di Lorenzina, un uomo che ha girato mezza Europa con il suo camion e oggi si è dovuto fermare. Queste foto sono un piccolo omaggio al cuore di tutti loro.
Succede all’improvviso. Come scrive Baricco i quadri cadono e non sai perché. E la vita cambia. È successo a Monica alla soglia dei suoi 42 anni. Il quadro cade. E le dicono che ha la Leucemia Mieloide Acuta. La percentuale di sopravvivenza è irrisoria. Nell’arco di 10 giorni si ritrova in ospedale, senza capelli, isolata dal mondo, con una sentenza addosso. Il quadro cade. Eppure passano quasi due anni e io la conosco.
Monica è una persona speciale. Viva. Con la sua mamma Luciana e la cagnetta Gina percorrono a piedi 200 km da Assisi a Roma per il Cammino per gli Animali. Io sarò sempre grata di aver incontrato un’anima pura come lei. E bisogna ringraziare un donatore anonimo di midollo osseo perché i nostri passi si siano incrociati. “Un estraneo mi ha salvato la vita. Sono stata fortunata. Anche perché trovare il midollo compatibile al 100% non è uno scherzo. Ed è fondamentale che ci sia sempre più gente disponibile in questo senso. Ma spesso le persone temono di doversi sottoporre a un intervento chirurgico e quindi sono restie. Eppure non è così…”, mi racconta.
Infatti, il metodo impiegato in 8 donazioni su 10 è il prelievo di sangue periferico: nei 5 giorni precedenti al donatore viene somministrato un farmaco che promuove la crescita delle cellule staminali nel midollo osseo e il loro passaggio al sangue. Poi si fa una sorta di donazione del sangue che dura un pochino di più. Nessun rischio, nessun dolore. Sul sito dell’ADMO Federazione Italiana ONLUS viene spiegato tutto.
Si legge che possono diventare donatori i giovani tra i 18 e i 35 anni, in buone condizioni di salute e che pesino almeno 50 kg. Si rimane nel registro fino ai 55 anni. Finché non è necessario si resta potenziali donatori. Ma quando arriva la chiamata è perché si ha l’opportunità straordinaria di salvare una vita. Come quella della dolcissima Monica. E allora chi può si faccia avanti!